occhirossi

Sa, la vita è strana.
Molto.

spesso le persone che fanno musica sono spinte da un bisogno primitivo estremamente complicato da oggettivare, se non impossibile da comunicare con le parole.
Difficile da filtrare persino attraverso il banale lasciapassare degli stati d'animo.

Depeche Mode.
Li conosce? Mi auguro di sì.
Una loro canzone dice: <>.

THEY CAN ONLY DO HURTS

Tradotto suona esattamente come "loro (le parole, ndt) possono solo fare ferite" [traduzione letterale]
Il che in italiano suona "male".

Se avessimo davanti un software per l'esecuzione di musica dal vivo il warping ci automatizzerebbe il conto delle battute e il colpo di snare uscito dal loop ritornerebbe al suo posto, permettendo alla frase di suonare senza la percezione che ci sia la "gosth note".
Se ci fosse un software del genere per la lingua italiana che sistema la cellula ritmica, verremmo corretti con "le parole possono ferire".

Le parole possono ferire soprattutto se hai meno di tredici anni e senti che la musica è la tua strada.
Però senti solo quello perché in realtà sei sordo, sei affetto da ipoacusia neurosensoriale.
E sei affetto anche da quella strana cattiveria di provincia, dove i compagni di scuola fanno di tutto per primeggiare, schiacciarti, imparare quelle cazzo di note appiccicate con lo sputo su spartiti che portano il nome dei grandi maestri.
Sei affetto anche dalla scarsa stima di quelle persone che avrebbero dovuto spingerti, portarti come il miglior trofeo e insegnarti l'arte della vita ancora prima che l'arte del premere dei tastini di diamonica tanto per fare dire a un branco di gente "io so suonare".

Non importa come lo fai, non importano i mezzi.
Puoi avere uno Steinway, puoi avere una DW, puoi avere un Mac, un Pc.
Insomma qualsiasi cosa che produca un suono diverso dalla voce della logopedista.

Meno male che ci sono gli anni, quelli che salvano.
Fatti di lacrime, fatti di silenzi e di labbra che si muovono sole, fatti di suoni fantasma e di sacrifici per riprendere a sentire il mondo e i suoi fruscii.
Gli anni di cablaggi elettronici, di suonare di fronte a un pubblico per la prima volta, di sentirsi finalmente apprezzato per qualcosa di tuo.
Perché certe rivincite sulla vita sono dei privilegi rarissimi e unici, spesso tali da non essere compresi.
Esattamente come quello che ho appena scritto.


Suonare vuol dire avvertire.
Avvertire la necessità del mondo.
Avvertire che un giorno ameremo tutti, moriremo tutti.

2 commenti:

mauro ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

La consapevolezza, su quello che sei e ciò che fai, è cosa che sconosco. T'invidio...

cose successe prima di ora